La memoria è la sostanza stessa della scrittura di Carlo Levi, la linfa vitale che la irrora.
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Ma se in altri luoghi della sua opera il lavorio del ricordo conserva una dimensione implicita, facendo da trama sotterranea dell'operazione letteraria, esso diviene – in questi scritti autobiografici, per la prima volta raccolti e presentati in volume – il filo conduttore, il bandolo stesso di un pensiero in cui il passato non è mai disgiunto dal presente.
Sia che si affollino e si riversino i ricordi degli affetti familiari, spesso legati a un'infanzia quasi mitica, sia che l'attenzione si rivolga ai luoghi – Torino, Alassio, la Lucania – o alle persone che ne costituiscono l'essenza, la memoria lavora qui direttamente a costruire la scrittura.
Questo uso assai moderno, quasi consapevolmente psicoanalitico, del potere evocativo della parola scritta, trova la sua massima applicazione in un oggetto collettivo che diviene il protagonista corale, il simbolo stesso della memoria leviana. I contadini di Levi sono emblema e coscienza di un mondo ormai scomparso. Il recupero di quel mondo, attraverso il filo del ricordo, serve come arma di difesa dei valori e dell'interiorità dell'uomo, contro la minaccia dei miti collettivi di nuovi eroi, spesso ridotti a idoli di se stessi.
Carlo LEVI (1902-1975) fu pittore, scrittore e politico. Antifascista, condannato al confino in Lucania, scrisse Cristo si è fermato a Eboli (1945) e dopo la guerra il romanzo-saggio L'orologio (1950); da ricordare anche il reportage Le parole sono pietre (1955). Dal 1963 al 1972 fu senatore della Repubblica. Di Carlo Levi, l'editore Donzelli sta pubblicando in più volumi l'intera opera saggistica.