Sottoporre a revisione la storia è il compito stesso degli studiosi, essendo la storiografia nient'altro che una costante riscrittura della storia.
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Perché, dunque, degli storici come gli autori di questo libro dovrebbero schierarsi contro il "revisionismo"? Perché sotto questo termine si è delineato, nel corso degli ultimi decenni in Italia e nel mondo, un "uso politico della storia" che ha poco a che fare con la ricerca storiografica. Un "uso politico" dalle molteplici diramazioni, ma che, soprattutto nella distorta ricostruzione della nostra storia nazionale, presenta alcune opinioni ossessivamente ripetute: l'idea che il Risorgimento sia stato una guerra di annessione e non un movimento di rinascita per l'unità nazionale; la concezione del fascismo come tentativo autoritario bonario, distinto dal totalitarismo nazista e volto all'edificazione di una patria che non sarebbe esistita prima; l'ipotesi della morte definitiva della patria sancita dall'8 Settembre e la conseguente rivalutazione dei combattenti di Salò come autentici patrioti. Tesi politiche che non hanno la benché minima serietà né il rigore dell'autentica indagine storica, ma che, raffigurando gli avversari come i difensori di una "vulgata resistenziale", di "verità di regime", mirano a distruggere i fondamenti stessi della nostra storia repubblicana e della nostra Costituzione. Contro questo "revisionismo" si schierano alcuni tra i migliori storici italiani.