A un primo sguardo, l'arte di Athos Ongaro sembra di facile lettura. Tuttavia, mai come nel suo caso, occorre non lasciarsi fuorviare dalle apparenze. Ogni figura, ogni movenza, ogni dettaglio affiora nel suo universo di simboli pare rimandare ad altro, nascondersi dietro la sua stessa evidenza, giocare a rimpiattino con il giudizio dello spettatore.
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L'imprevedibile sbuca da ogni angolo, sotto forma di un cinghiale che sembra sorridere alle movenze liriche del poeta a cui si appoggia, o di un Cristo che pare essersi dimenticato che cosa era venuto a fare sulla terra, o di un Cappuccetto Rosso che ha smarrito la strada del ritorno negli spazi interstellari, o di un esibizionista che non ha nulla da esibire. Analogie impossibili che disegnano i contorni di quella strana contemporaneità in mezzo a cui ci troviamo a vivere.