Davanti alla legge - ma anche alla scuola, al lavoro, alla pensione, alla politica, alla nascita e alla morte, all'infanzia e alla vecchiaia - non siamo tutti uguali. In Italia i divari salariali tra uomini e donne sono più elevati che nella maggior parte dei Paesi europei, e le donne sono di fatto escluse dai ruoli di potere.
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I giovani scontano a caro prezzo la flessibilità di un mercato del lavoro privo di un adeguato sistema di protezione sociale. La crisi ha colpito le fasce economicamente più deboli e l'altissima pressione fiscale non è compensata da una redistribuzione efficace. Anzi, siamo ai primi posti nella graduatoria dei Paesi dove la sperequazione tra ricchi e poveri è maggiore. Questa cristallizzazione delle disuguaglianze fa scivolare indietro il nostro Paese. Uno Stato che ha delegato il welfare alla solidarietà familiare e le scelte sui grandi temi della vita e della morte alla Chiesa cattolica, che non investe nei piccoli e non protegge i vecchi non autosufficienti, fatica a riconoscere diritti agli immigrati, è frutto di una democrazia debole e di una cultura politica e civile dove maschilismo, familismo e razzismo formano una miscela esplosiva. Eppure, in questi anni duri, i cittadini a metà hanno continuato a esprimere la loro voglia di dissentire, di contare, di condividere diritti e responsabilità. È, la loro, una disponibilità preziosa che va riconosciuta e coltivata perché porta in sé la forza di reagire, e il respiro per affrontare le sfide che ci attendono.