Contadini che abbandonano le loro terre, agrumeti a due passi dal mare soffocati da capannoni ferrosi: non è la rivisitazione di un topos della poesia classica, ma la realtà che sta di fronte agli occhi di Pietro Piro, il paesaggio violato del suo paese.
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Era il 1925 quando Romano Guardini descriveva un mondo dominato dalla tecnica, di cui tuttavia, nella sua ottica cristiana ottimista e antropocentrica, l'uomo si sarebbe presto riappropriato. A un secolo di distanza, in una corrispondenza ideale, Piro esprime la prospettiva desolante di chi osserva tristemente un mondo sempre più disumanizzato. Da un'occasione filosofica, l'autore riesce a tirar fuori delle pagine di intima sensibilità, in cui il confronto teorico e dialettico con il teologo lascia il posto alla semplice voce dell'uomo comune.
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PAVU1@Università Pavia. Biblioteca di Studi Umanistici