Dando la stessa moneta alla Germania e alla Grecia, intese come casi estremi, era inevitabile scatenare enormi pressioni sul più povero e il meno competitivo. L'euro, dunque, è stato un errore fin dall'inizio, ma uno di quegli errori impossibili da emendare tornando allo stato precedente.
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Se l'eurozona si disintegrasse, assisteremmo a un effetto domino di smisurate proporzioni, senza vincitori neppure tra i più forti. Paradossalmente, le soluzioni sono note e, in linea di principio, riconosciute da tutti: da un lato la mutualizzazione del debito, dall'altro una spinta alla competitività dei paesi periferici attraverso una riduzione del costo del lavoro. Entrambe misure "inaccettabili" per gli elettori che, nei rispettivi paesi, dovrebbero approvarle. Un perfetto cui di sacco? Forse no, se riuscissimo a trovare il senso di una solidarietà europea concepita come fare qualcosa non per il bene dell'altro, ma per il bene di tutti. Occorre costruire nella cultura, nella società, nella politica il soggetto di questo bene comune, questo "noi europei" che ancora non siamo.