La seconda rivoluzione digitale - caratterizzata dalla preminenza di Internet, dei social media e dalla telefonia mobile - e la società ipermoderna - caratterizzata dall'eccesso e dall'asfissia dei consumi - hanno all'unisono consolidato un'epoca postfotografica. In essa noi abitiamo l'immagine e l'immagine ci abita.
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La postfotografia ci mette di fronte alla sfida della gestione sociale e politica di una nuova realtà fatta di immagini. Ma oggi non siamo solo impantanati nella loro produzione massiccia e travolgente. Le fotografie circolano in rete a una folle velocità; non hanno più un ruolo passivo, e questa straordinaria energia cinetica le destabilizza portandole alla follia. Senza più un luogo dove ritirarsi, diventano "furiose". Anche se questa furia può causare una grande incertezza, essa ci dà l'opportunità di aggiornare una riflessione su questioni che riguardano la cultura, l'arte, la comunicazione e, infine, la condizione umana. La postfotografia diventa così un contesto di pensiero visivo che firma la smaterializzazione dell'immagine e del suo autore, dissolvendo le nozioni di originalità e proprietà, di verità e memoria.