Il 1819 fu per Leopardi l’annus horribilis della quasi cecità, della disperazione esistenziale e del tentativo di fuga dal “paterno ostello”. Ma fu anche l’anno di quella svolta di pensiero che nello Zibaldone è chiamata “mutazione totale”.
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L’Infinito è l’esito poetico e conoscitivo del passaggio dallo “stato antico” allo “stato moderno”, una lirica perfetta, il cui incanto rinasce ogni volta che si attiva la stessa facoltà immaginativa che appartenne a Leopardi e che è propria del genere umano. Due secoli dopo, ammirare la scrittura minuta ed elegante con cui quei versi furono fissati dal poeta sui suoi fogli di lavoro è un’emozione intensa: una rara occasione, quella promossa dal Comitato Nazionale per le celebrazioni del bicentenario della composizione dell’Infinito, per valorizzare anche l’intera collezione dei manoscritti leopardiani di proprietà del Comune di Visso, offrendone un’aggiornata ed esaustiva rilettura.