La nozione di razza appare ancora ampiamente diffusa nell'immaginario collettivo. In Italia la costruzione della razza trova la propria radice in seno all'esperienza coloniale. Esperienza che ha segnato la storia nazionale sin dai primi anni dello Stato unitario e fino alla caduta del Regime Fascista.
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È in ambito coloniale, e con particolare riferimento ai territori dell'Africa Orientale, che si pongono da subito - e ben prima dell'avvento del Fascismo - le basi per le politiche razziali che solo molto più tardi, nel 1938, porteranno alla più nota legislazione antisemita. L'Italia odierna, che ha spesso rimosso, semplificato o ridotto temporalmente al solo ventennio fascista le proprie memorie e responsabilità coloniali, si trova oggi - in virtù dei processi migratori in corso che spesso coinvolgono proprio le medesime aree geografiche un tempo colonizzate - a fare nuovamente i conti con categorie culturali e linguistiche assai simili a quelle dell'epoca. Attraverso la disamina storica e normativa dell'esperienza coloniale italiana si intende riportare alla memoria la composita macchina ideologica e giuridica messa in moto dagli italiani sin dal tardo Ottocento in Eritrea e, successivamente, in Somalia e in Etiopia. Decenni nei quali, senza sostanziali soluzioni di continuità tra l'Italia liberale e quella fascista, si è sviluppato un vero e proprio "discorso sulla razza". Un discorso che tradisce strumentalità identitarie, paure irrazionali, violenze radicate che si estrinsecano nella costruzione di ordinamenti giuridici paralleli e separati su base razziale. Si delinea nelle colonie, insomma, forte del pronto sostegno di un diffuso sentire collettivo, di un mondo scientifico ideologicamente zelante, e di un apparato normativo attentamente costruito ed entusiasticamente applicato, un vero e proprio "statuto di razza".
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PAVU4@Università Pavia. Biblioteca di Scienze Politiche