«E alla fine anche l'analista si alza, entrambi guardano insieme la composizione di sabbia e miniature, perplessi e a volte commossi da un insieme di cose che "parlano" in un linguaggio esclusivamente visivo». Il Gioco della Sabbia si insegna e si impara, si fa o non si fa, se lo si fa è necessario farlo in due. Lo si studia, lo si mette in scena, lo si comprende o lo si rifiuta.
[...]
È una tecnica junghiana che Jung non praticò e che oggi viene adottata da analisti che lavorano sia con gli adulti sia con i bambini. Si svolge così: nello studio, l'analista chiede all'analizzante di avvicinarsi alla sabbiera, che è una cassetta di forma rettangolare «con le proporzioni della sezione aurea (cm 75 x 50 x 7)». La sabbiera di solito, ma non sempre, è di metallo. L'analizzante viene invitato a usare la sabbia, bagnandola oppure no. Deve modellare, costruire, «accarezzare». Deve utilizzare le miniature esposte negli scaffali dello studio e comporre una scena. Alla fine verrà chiesto un titolo da dare a quella che forse si potrà definire un'opera e la "sabbia" verrà fotografata e verrà così inevitabilmente conservata nella memoria di entrambi i presenti, «come un sogno». Insomma - commenta subito Clementina Pavoni -, «due cose da bambini: la sabbia e i giocattoli!» Ma i «giocattoli», ognuno lo sa, sono varchi, sono porte, da dove si esce per lasciar parlare il gioco, il fantasticare; per ascoltare, questa volta in due, «affacciati alla "finestra" della sabbia... che cosa le mani hanno "pensato"» di comunicare. Nasce così il caso clinico dell'uomo che Clementina Pavoni ha voluto chiamare signor Alonso, il quale detesta - con consapevolezza, sapere e violenza - prima di tutto se stesso e il proprio corpo e poi il mondo che lo circonda, come in un assedio senza fine. È bravo il signor Alonso, e spietato, a giocare con la sabbia e a scovare personaggi inquietanti come Kitsune, che in giapponese vuol dire «volpe» ed è segno che protegge e a un tempo minaccia, che ama e soffoca. Noi le vediamo avvenire, tutte le storie del signor Alonso, le vediamo nascere e svanire, come in un colpo di vento, come in una galleria fatta di panorami e autoritratti, incidenti e ferite. Accompagnati da un'ecfrasi a due voci che cura.