La filosofia, come è generalmente ritenuto, parla greco, tedesco, inglese, francese, italiano, ma secondo molti non parla egiziano, babilonese o sanscrito.
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Nella storia della filosofia, così come era intesa da un pensiero europeo ansioso di rivendicare l’esclusività delle proprie origini greche, all’India fu interdetto un posto di elezione nel campo dell’indagine critica tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo. Da allora, generazioni di studiosi delle tradizioni intellettuali nell’Asia meridionale hanno richiesto invano la revisione di un processo istruito ingiustamente contro un intero universo filosofico ai più del tutto sconosciuto. Dimostrando la totale infondatezza dei cliché che l’Occidente ha sempre riservato all’antica India, supposta troppo immersa nella sua religiosità per dare spazio alla formalità del pensiero filosofico, Vincent Eltschinger e Isabelle Ratié rivolgono l’attenzione non tanto alle tradizioni dottrinali indiane codificate, quanto a una serie di temi filosofici fondamentali che mostrano in tutta la loro ricchezza e varietà l’impresa razionale di problematizzazione, argomentazione logica e ricerca della verità che si fece strada nei primi mille anni della nostra era nell’Asia meridionale. L’accento posto su alcuni punti di cristallizzazione del dibattito indiano – il sé, l’idealismo, l’altro, la conoscenza, l’autorità, il linguaggio, la semantica, Dio, lo spazio e il tempo – costituisce la vera originalità dell’opera, che offre una comprensione della filosofia indiana per quello che fu nel suo contesto, senza cercare indebiti confronti con le altre filosofie, per non privarla del suo significato, della sua forza, della sua specificità e del suo fascino.