Il romanzo nato dall'incontro fra l'autrice finalista al Premio Strega e Rosa Bazzi. Nel primo pomeriggio dell’8 gennaio 2007, Rosa Bazzi e Olindo Romano lasciano Erba sui sedili di una volante dei Carabinieri. Pensano che gli agenti li stiano portando in salvo dai giornalisti che, dall’alba, assediano la loro casa.
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In meno di un’ora si trovano dentro il carcere di Como, dove comincia una detenzione destinata a diventare ergastolo, condannati per aver ucciso quattro vicini di casa e averne ferito gravemente un quinto – uno dei più grandi casi di cronaca recente, conosciuto come “la strage di Erba”. Alessandra Carati incontra Rosa Bazzi per la prima volta all’inizio del 2019. Tra luglio e febbraio dell’anno seguente, le fa visita in carcere ogni settimana in sessioni che durano ore. “Mi sfogo con te come con il prete” le dice la donna, e la travolge con discorsi contraddittori, inattendibili, al limite della comprensibilità. La costringe al suo caos. L’autrice credeva che conoscerla di persona le avrebbe permesso di separare i fatti dai detti; invece la vicinanza ha offuscato il quadro. Nel tentativo di capire, cerca lo sguardo di chi l’ha frequentata negli ultimi diciassette anni: la psicologa, gli avvocati, e poi il cappellano, il marito Olindo attraverso le lettere che le scrive. Scopre così un’infanzia negletta, il lavoro ancora bambina a servizio delle famiglie dell’Erbese, il matrimonio a vent’anni e la dipendenza da Olindo, il faticoso adattamento alla detenzione. Solo allora torna in carcere. Rosa però non è conforme a nessun racconto che ne è stato fatto, continua a resistere come un disturbo indecifrabile. È proprio in quel momento, nella rinuncia a ogni immagine di lei – e nella fatale domanda su dove si sono formate queste immagini, a quali condizioni, con quali conseguenze – che affiora, come in una polaroid, Rosy.