L’era della globalizzazione avrebbe dovuto essere l’epoca dello scambio, del confronto e della “mescolanza” fra le genti, ma sembra essersi tramutata nell’età della paura del diverso e del bisogno quasi ossessivo di rivendicare le proprie radici contro ogni possibile rischio di “contaminazione”.
[...]
L’identità è così diventata il baluardo che consente di difendersi dall’ingresso di nuove credenze e inediti modi di esprimersi. Ma siamo sicuri che essa sia qualcosa di certo e immutabile? E, poi, questo continuo appellarsi all’identità a “protezione” di una determinata civiltà non è forse un modo per re-introdurre surrettiziamente odiosi concetti che dovrebbero ritenersi ormai tramontati? Promuovere la convivenza fra i popoli ci impone di non enfatizzare le differenze, ma piuttosto di intercettare le somiglianze. Partendo da una riflessione dell’antropologo Francesco Remotti, alcuni giuristi si confrontano sull’evoluzione di un concetto che, nel diritto come nelle scienze umane e sociali, ha preso a misurarsi con la fluidità e la mutevolezza della sua duplice dimensione individuale e collettiva, mettendo in crisi quel senso originario di certezza che lo ha sempre caratterizzato e ponendo in dubbio le ragioni della sua stessa esistenza.
Lo trovi in
Scheda
PAVU3@Università Pavia. Biblioteca di Giurisprudenza